divagazioni tra amici/colleghi sulla scienza...
Caro c...,
Tutta la scienza del novecento è andata al di là della visione del mondo codificata da Cartesio, Newton e Maxwell (sebbene questa rimanga tuttora la più familiare al vasto pubblico), sostituendola con quella ereditata da Keplero, Einstein e Planck.
Possiamo definire “meccanica” la visione ottocentesca e “sistemica” quella del nostro tempo.
Nella visione meccanica, la realtà è composta di corpi materiali e di campi energetici tra loro indipendenti e collocati nello scenario, esso pure indipendente, dello spazio e del tempo considerati come entità separate ed esistenti a priori.
Inoltre, le leggi che governano la materia e l’energia sono reputate di tipo continuo e tali da poter essere descritte in termini di connessioni o interazioni lineari e locali di causa ed effetto.
Al contrario, nella prospettiva sistemica i corpi materiali ed i campi energetici sono considerati manifestazioni differenti di una medesima entità, la quale è strettamente dipendente dalle dimensioni spaziale e temporale, viste come fuse in un blocco unico, o cronotopo.
Per di più, le leggi che governano il mondo fisico sono di tipo discontinuo o discreto (“quantico”) e si esprimono mediante interazioni di natura non-lineare e globale. Heisenberg, uno dei padri fondatori della fisica quantica, vide appunto in questo “spostamento dalle parti al tutto” l’aspetto centrale della rivoluzione concettuale da essa provocata, e fu per questo che ritenne di dover intitolare la sua autobiografia scientifica “Der Teil und das Ganze”, ovvero “La parte e il tutto”.
Per i biologi organicisti anche il mondo dei viventi, o Systema Naturae, ben lungi dal poter essere interpretato come mero aggregato meccanico di elementi o processi tra loro separabili ed indipendenti, è invece dominato da leggi di tipo non-lineare e globale.
In queste leggi risiedono e possono essere indicate le basi reali di quell’“olismo” che caratterizza non soltanto la fisica, ma anche la biologia del nostro secolo, nonostante che in quest’ultima il “paradigma vincente” sia sempre stato quello evoluzionistico darwiniano.
E’ indubbio, infatti, che il darwinismo ha potuto assumere il monopolio del pensiero bioteoretico soltanto dacché l’Europa è divenuta culturalmente dipendente dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale.
In precedenza il successo del darwinismo non era mai stato completo, in quanto aveva incontrato l’opposizione dei neolamarckisti (Eimer, Rabaud, Caullery, McDougall, Cannon, Cuénot, ecc.), dei vitalisti (Driesch, Berg, Rignano, ecc.) e di tutti quei biologi - in gran parte definitisi appunto “olisti” - che, prendendo le distanze al medesimo tempo dal darwinismo e dal vitalismo, si erano mantenuti fedeli alla Idealistische Morphologie di Goethe e all’organicismo di eredità aristotelica (Kleinschmidt, von Uexküll, Troll, von Bertalanffy, Haldane, Dürken, Russell, ecc…).
Dopo la seconda guerra mondiale divenne veramente impossibile, soprattutto per i biologi “olisti”, entrare in sintonia da un lato con i colleghi delle università nordamericane in quanto aderivano spontaneamente all’idea di una “selezione dei migliori” risultante dalla libera competizione sociale, dall’altro con i colleghi delle università sovietiche in quanto scorgevano la sorgente di ogni progresso nella potenza trasformatrice dell’ambiente fisico-sociale.
Lo sviluppo della biologia “olistica” fu perciò bloccato o rallentato in ogni parte del mondo dall’intesa “sindacale” promossa dai biologi sostenitori della cosiddetta “teoria sintetica” neodarwiniana (Huxley, Dobzhansky, Mayr, Simpson ed epigoni), la quale combinava la selezione naturale con la genetica di Mendel e il mutazionismo di De Vries.
Le opere di biologi universalmente reputati eminenti, ma estranei al “sindacato” (come Goldschmidt, Schindewolf, Nilsson, Portmann, Willis, D’Arcy Thompson e, in Italia, Colosi) furono aspramente combattute, screditate come frutto di pura fantasia, o circondate da barriere di silenzio.
Mentre per la visione meccanica del mondo l’uomo e la natura, ossia “la cosa che osserva” e “la cosa che viene osservata” (nel linguaggio cartesiano, rispettivamente la res cogitans e la res extensa) erano entità fra loro separate ed indipendenti, per l’attuale visione sistemica queste sono interdipendenti e legate l’una all’altra in maniera inscindibile.
La psiche, afferma il fisico inglese Paul Davies, “non è un carattere insensato e fortuito della natura, ma un aspetto assolutamente fondamentale della realtà” (Davies P., “La mente di Dio”, Mondadori, Milano 1993, cit. p. 7).
Per converso, come sottolinea l’astrofisico Fred Hoyle (L'universo intelligente, Mondadori, Milano 1984), l’universo è “intelligente”, e dunque impregnato di mente.
Queste affermazioni non devono più essere considerate come mere formulazioni filosofiche, ma come risultati effettivi della nuova ricerca scientifica.
Ci sembra particolarmente significativo, a questo proposito, quanto viene scritto da un altro fisico britannico, Freeman Dyson, in un brano che per chiarezza deve essere riportato per esteso (da “Turbare l’universo”, Boringhieri, Torino 1981, cit. pp. 287-288) :
“Tra i fisici vi sono punti di vista filosofici molto differenti e molti differenti modi di interpretare il ruolo svolto dall’osservatore nella descrizione dei processi subatomici.
Ma nessun fisico ha mai messo in discussione le prove sperimentali che rendono inutile la ricerca di descrizioni indipendenti dalle modalità di osservazione.
Quando ci occupiamo di entità minuscole come gli atomi e gli elettroni, l’osservatore o sperimentatore non può venire escluso dalla descrizione della natura.
E’ un campo in cui il dogma di Monod, ‘La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato che la natura sia oggettiva’, non risulta vero.
Negare il postulato di Monod, non significa negare i risultati della biologia molecolare e sostenere la dottrina del vescovo Wilberforce.
Non vogliamo dire che il caso e la risistemazione meccanica delle molecole non possano trasformare in uomo la scimmia.
Vogliamo soltanto dire che se, in veste di fisici, cercheremo di osservare nei particolari il comportamento di una singola molecola, il significato delle parole ‘caso’ e ‘meccanico’ dipenderanno dal modo in cui effettueremo le nostre osservazioni.
Le leggi della fisica subatomica non possono neppure venire formulate, senza fare riferimento all’osservatore.
Il ‘caso’ non può essere definito, eccetto che come misura dell’ignoranza del futuro da parte dell’osservatore.
Le leggi assegnano un posto alla mente, nella descrizione di ogni molecola.
E’ interessante notare come la mente compaia a due separati livelli, nella nostra conoscenza della natura.
Al livello più alto, che è il livello della coscienza umana, la nostra mente è in qualche modo consapevole del complicato flusso di schemi elettrici e chimici che si svolge nel nostro cervello.
Al livello più basso, che è il livello dei singoli atomi e dei singoli elettroni, la mente dell’osservatore è nuovamente chiamata in causa nella descrizione degli eventi.
Tra questi due livelli si colloca quello della biologia molecolare, dove i modelli meccanici sono validi e dove la mente risulta irrilevante.
Ma io, come fisico, sono indotto a sospettare che vi sia una connessione logica tra i due modi in cui la mente si presenta nel mio universo.
Non posso impedirmi di pensare che la consapevolezza del nostro cervello abbia qualcosa a che fare con il processo che chiamiamo ‘osservazione’ in fisica atomica.
Ritengo in altre parole che la nostra coscienza non sia solamente un epifenomeno passivo, un portato degli eventi chimici che hanno sede nel cervello, ma che sia un agente attivo che induce i complessi molecolari a scegliere tra uno stato quantico e l’altro.
In altre parole, la mente è già una caratteristica intrinseca di ciascun elettrone, e il processo della coscienza umana differisce unicamente in grado, ma non in qualità, dal processo di scelta tra stati quantici che noi chiamiamo ‘caso’ quando viene effettuato dagli elettroni”.
Quanto precede, oltre a richiamare il Principio di Indeterminazione di Heisemberg (l’“osservatore” è anche “partecipatore” dei fenomeni) si riallaccia, in un certo modo, all’opera “Mind and nature” dell’antropologo Gregory Bateson (“Mente e natura”, Adelphi, Milano 1984), la cui tesi di fondo considera la mente una proprietà essenziale dei sistemi viventi.
Per Bateson, la vita non sarebbe una sostanza-forza, né la mente sarebbe un’entità separata dalla vita che, in qualche modo, interagisce con essa; al contrario, tanto la vita quanto la mente sarebbero aspetti differenti di un medesimo sistema auto-organizzantesi, di una medesima totalità fatta di relazioni dinamiche coordinate.
Dal punto di vista di Bateson, insomma, la mente e la materia non sarebbero affatto, come credeva Cartesio, categorie fondamentalmente diverse ed indipendenti l’una dall’altra, ma semplicemente aspetti differenti di un medesimo processo universale.
Il biologo George Coghill era già arrivato a conclusioni simili già negli anni ‘40.
Egli, infatti, distingueva negli organismi viventi una trinità di elementi fra loro strettamente interagenti: struttura, funzione e “mentazione” (mentation).
La struttura corrisponderebbe all’organizzazione nello spazio, la funzione all’organizzazione nel tempo e la mentazione ad un tipo di organizzazione che integrerebbe le due precedenti in un livello più elevato di complessità, fungendo perciò da centro direttivo di tutte le strutture-funzioni.
Poiché, per tornare a Bateson, la mente corrisponderebbe alle leggi di organizzazione dei sistemi viventi, e poiché questi ultimi comprendono entità non soltanto individuali, ma anche sociali - i taxa - ed ecologiche, essa è immanente sia in noi che in tutto il sistema biosferico a livello planetario, del quale costituiamo altrettanti sottosistemi.
Il che ha vastissime implicazioni culturali, in quanto porta alla conclusione che, allo stesso modo in cui esiste tutta una gerarchia di sistemi viventi, così esisterà anche una corrispondente gerarchia di sistemi mentali.
Vi saranno, ad esempio, livelli di mente “metabolica”, organizzante le strutture e le funzioni delle cellule, dei tessuti e degli organi; e vi saranno livelli di mente “specifica”, “generica”, “familiare”, ecc., organizzanti le morfologie spazio-temporali delle varie specie, generi, famiglie, ecc.
E tutti questi livelli, retti dalla loro particolare logica minor, faranno a loro volta parte integrante della logica maior relativa alla totalità del cosmo.
Il significato concettuale del nuovo approccio sistemico non rimane in alcun modo compromesso associando questa “mente cosmica” all’idea tradizionale di Dio, purché questo venga concepito non come creatore in veste personale, (maschile o femminile che essa sia), ma soltanto come centro dinamico auto-organizzante dell’intero universo.
In ogni caso, il concetto dell’Essere come kosmos o Systema Naturae, ossia come ordine gerarchico implicante livelli molteplici a diversa complessità e mutualmente interagenti ed interdipendenti in maniera tale da riflettere una mente di ordine superiore, ha sempre giocato un ruolo preponderante nelle tradizioni di tutte le culture.
Nelle sedi scientifiche europee, tale concetto si è mantenuto stabilmente - in pratica - fino a Linneo e a Cuvier, e soltanto il diffondersi del paradigma lamarckiano-darwiniano ha fatto sì che esso venisse messo da parte.
Per il nostro Roberto Fondi (“Organicismo ed evoluzionismo”, Il corallo – Il settimo sigillo, Roma 1984) i limiti dell’interpretazione riduzionista della scienza appaiono evidenti quando si cerca di spiegare, come faceva Darwin, l’origine e la forma dei viventi, basandosi sulla esclusiva validità del principio di causalità ed eliminando da tale spiegazione ogni elemento finalistico, ritenuto estraneo alla scienza.
Tale visione del mondo, ha ormai fatto il suo tempo e deve essere sostituita da una nuova concezione in cui l’intera realtà sia vista come totalità organica.
La realtà non consiste soltanto di materia, ma anche di forma, ovvero, per usare termini più attuali o cibernetici, non esiste soltanto la massa-energia, ma anche l’informazione.
La materia e la forma sono complementari in un tutto coerente ed unitario e questo paradigma organicistico coincide con quello che caratterizza la visione ontologica di Aristotele (vedi pag. 25).
In definitiva Fondi accetta il concetto di “esistenza totale” introdotto dal nostro matematico Luigi Fantappiè per cui il coordinamento a certi fini non deriva affatto dalla selezione naturale, che avrebbe operato su forme le più disparate, conservando solo le più armoniose, ma è retto dal principio di finalità, supremo regolatore dei fenomeni sintropici.
In ogni fenomeno “reale”, per il nostro matematico prematuramente scomparso, esiste una componente entropica, soggetta alla causalità, ed una sintropica, finalistica.
Di conseguenza ogni fenomeno dipende dal passato e dal futuro (delle sue potenzialità in relazione a quella causa finale che agisce per attrazione come vis a fronte).
Ne segue che nei processi evolutivi la struttura di ogni specie vivente dipende non solo da quelle che l’hanno preceduta, ma anche da quelle che la seguiranno.
Nei fenomeni biologici dello sviluppo e nei processi evolutivi prevale la componente sintropica su quella entropica e si ha un “trascinamento finalistico”, per cui la loro spiegazione deve essere fatta in funzione del risultato finale.
Il processo evolutivo sarebbe allora non un’ectogenesi, ma un vero e proprio processo di autogenesi, indipendente per la maggior parte da fattori ambientali esterni.
Esso avverrebbe per modificazione dei piani organizzativi, per azione di fattori interni teleologicamente orientati e mediante mutazioni essenzialmente diverse da quelle casuali.
Si può definire entropica la teoria di Darwin che, ammettendo nei fenomeni la sola componente casuale, è costretta a rifiutare come antiscientifico ogni finalismo.
L’ordine che si riscontra nei viventi deriva allora dal disordine e solo la cieca selezione naturale sarebbe in grado di introdurre nella vita un elemento di ordine (fatto statisticamente inverosimile).
Se si ammette nei fenomeni l’esistenza della componente sintropica, finalistica, accanto a quella entropica, si realizza un cambiamento radicale nella concezione scientifica della realtà e l’evoluzione assume il significato di un processo progettato e programmato, tendente a realizzare un aumento di complessità.
L’organicismo non esclude la componente entropica, asserendo che quanto detto da Darwin è completamente errato, ma afferma piuttosto che la sua teoria deve essere opportunamente integrata in una concezione in cui i processi organizzativi interni e finalizzati, abbiano una netta prevalenza sui fattori esterni e ambientali, ove il ruolo della selezione naturale diviene marginale.
un abbraccio
r.f. 30/03/2009